Medicina

In Piemonte le vaccinazioni non sono più obbligatorie

Sunday, 28/5/2006

Con un piano ad hoc sulle vaccinazione nella Regione Piemonte cade la distinzione tra vaccini obbligatori e non. L’ultima parola sul vaccinare o meno i figli passa dunque ai genitori ai quali sara’ sottoposto un elenco di ‘vaccini prioritari’. La Regione prevede inoltre una campagna di sensibilizzazione sulla necessita’ di vaccinare i bambini, senza nascondere eventuali rischi collaterali, mettendo a disposizione un servizio gratuito. L’iniziativa non ha sorpreso il mondo scientifico che e’ favorevole a superare l’accezione di obbligatorieta’ nel campo delle vaccinazioni, con l’obiettivo di creare una nuova percezione su questa materia nella poopolazione.
‘Siamo d’accordo con quello che il Piemonte sta facendo, - ha commentato Stefania Salmaso, responsabile del Centro nazionale di Epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanita’ - i passi sono validi nella prospettiva di superare il divario tra vaccinazioni obbligatorie e no. Finora e’ stato recepito e percepito che esistono vaccini importanti che lo Stato impone e altri facoltativi che sembra che se li fai o no e’ la stessa cosa. Dobbiamo portare i vaccini che non godono di obbligo ad una diversa percezione’. L’esperta ha pero’ puntualizzato che ‘l’obbligo non puo’ essere intaccato perche’ e’ stato sancito da una legge dello Stato’.
La prima novita’ del Piano del Piemonte riguarda la classificazione dei vaccini. In tutta Italia sono suddivisi in ‘obbligatori’, ‘raccomandati’ e ‘facoltativi’. Il nuovo piano, invece, come ha spiegato Vittorio Demicheli, responsabile della Sanita’ pubblica della Regione, prevede due sole classi: i vaccini definiti ‘prioritari’ e gli ‘altri’. I ‘prioritari’ sono quelli contro: difterite, tetano, poliomelite, epatite B, morbillo, parotite, rosolia, pertosse, haemophilus B. A questi si aggiungono altre specifiche, per esempio, per i bambini che viaggiano e, quindi, hanno maggiori possibilita’ di contrarre malattie quali la febbre gialla o tifoide. I vaccini prioritari sono gratis, gli altri a basso costo. Un ulteriore elemento di cambiamento riguarda la sospensione delle sanzioni previste per i casi in cui le famiglie scelgono di non vaccinare i propri figli.
Il piano prevede anche un percorso informativo rivolto proprio alle famiglie ‘resistenti’. ‘In questo modo - ha spiegato ancora Demichelis - si passa da una precedente fase ‘punitiva’ ad una di formazione e confronto che in questi casi risulta piu’ efficace. Vogliamo che il vaccino non sia piu’ percepito solo come obbligatorio, ma come un diritto di tutti’.
Ecco l’attuale suddivisione prevista nel Piano Nazionale Vaccini 2005-2007, messa a punto dal Ministero della Salute: - VACCINAZIONI OBBLIGATORIE PER LEGGE Si tratta di quelle contro tetano, difterite, poliomielite ed epatite B. Gratuite su tutto il territorio nazionale.
- VACCINAZIONI RACCOMANDATE sono quelle contro morbillo, parotite, rosolia, a cui si aggiungono quelle antihaemophilus (batterio responsabile di una forma di meningite) e l’antipertosse. Previste e raccomandate in tutte le regioni.
- ALTRE VACCINAZIONI In alcune regioni, nei piani regionali vaccini sono anche raccomandate le vaccinazioni antipneumococco ed antimeningococco (causa della meningite), l’antivaricella e l’antiepatite A. La gratuita’ delle vaccinazioni raccomandate varia da regione e regione.(ANSA).

Aumentano le allergie fra i bambini

Saturday, 29/4/2006

In Italia il 15% dei bambini in eta’ prescolare e’ affetto da dermatite allergica e il 2% presenta gravi allergie alimentari, il 10% di quelli che vanno a scuola soffre di asma, il 20-25% degli adolescenti di rinite allergica. I dati sono stati resi noti a Verona, nel corso di Format 2006, il convegno sulle allergie in eta’ pediatrica organizzato dalla Clinica pediatrica dell’Azienda ospedaliero-universitaria del capoluogo scaligero.
“La diffusione di queste patologie  e’ in costante crescita?, ha detto il prof. Attilio Boner, ordinario di clinica pediatrica all’Universita’ di Verona e specialista in allergologia pediatrica, “con un’incidenza passata dal 10-15% al 25-30% negli ultimi decenni a livello nazionale, ma che nei Paesi del nord Europa raggiunge quasi il 50%?.
Perché aumentano le allergie nei bambini?
Tra le cause – spiega il prof. Boner – c’è la scarsa natalita’: “ Il primo figlio ha piu’ probabilita’ di ammalarsi, mentre i suoi fratelli possono beneficiare proprio delle malattie del maggiore per sviluppare meglio il sistema immunitario; rispetto alla prima gravidanza, inoltre, la placenta delle successive via via ‘funziona meglio’, facilitando la dotazione di autodifesa nel nuovo organismo che va formandosi.?
L’inquinamento atmosferico provocato dai motori diesel - ha detto ancora il prof. Boner - la riduzione di occasioni di contrarre malattie infettive, lo scarso consumo di frutta e verdura crude come di pesce grasso, la sedentarieta’ sono tutte concause che spiegano il diffondersi delle allergie gia’ nei primi anni di vita’. A queste deve essere aggiunto l’aumentato contatto con materiali sintetici, a cominciare da cuscini e materassi che non solo trattengono gli acari e altri allergenici in misura maggiore rispetto ai materiali naturali, ma inoltre sprigionano sostanze irritanti.
Anche se le terapie attualmente adottate per contrastare gli effetti delle patologie allergiche sono efficaci, - conclude il prof. Boner -  la difficolta’ di curare un bambino che  soffra di allergie e’ rappresentata dalla scarsa costanza del paziente nell’ assumere i farmaci: ‘almeno il 50% di loro - ha detto - non fa la terapia in maniera corretta’.

La prima volta dall’oculista:occhiali sì, occhiali no

Thursday, 16/3/2006

foto_maurizio.jpgIntervista al dottor Maurizio Terrana, Medico Chirurgo specialista in Clinica Oculistica e Chirurgia Oculare presso la Fondazione G.B.Bietti per l’Oftalmologia di Roma

D – A che età bisogna cominciare a controllare la vista?

R – Verso i 2 o 3 anni.

D – Non è un po’ troppo presto per una visita specialistica?

R – No, perchè se il bambino ha un difetto della vista bisogna scoprirlo e correggerlo al

più presto.

D – Cosa intende per difetto della vista?

R – La miopia, cioè la difficoltà a vedere da lontano. L’ipermetropia, la difficoltà a

vedere da vicino. L’astigmatismo che non permette una buona visione né da vicino né da

lontano.

D – In cosa consiste la prima visita oculistica?

R – I bambini piccoli, non sapendo leggere, vengono messi di fronte a disegni molto

semplici come la casa, l’albero ecc. di diverse grandezze. Per una corretta determinazione,

comunque, è necessario procedere ad una verifica del difetto con uno speciale apparecchio

computerizzato e dopo aver messo gocce di atropina (o sostanze simili) nell’occhio.

Personalmente, vado per gradi. Se il bambino risponde

bene al tabellone non procedo con le ulteriori verifiche per non spaventarlo. Se, invece,

ritengo necessaria la verifica chiedo ai genitori di collaborare lasciando che siano loro – a

casa - a mettere le gocce. L’esperienza mi ha insegnato che i questo modo i bambini non si

traumatizzano e collaborano meglio durante la visita.

D – Quando, invece, prescrivere gli occhiali?

R – Quando c’è un difetto elevato della vista e soprattutto quando c’è una diversa

gradazione nei due occhi, come nel caso dell’Ambliopia.

D – E se un bambino rifiuta gli occhiali rischia di peggiorare il difetto?

R – No, se il difetto è leggero. In genere, però, i bambini piccoli si lasciano convincere

abbastanza facilmente a indossare gli occhiali. I problemi, invece, insorgono nei più

grandicelli. Verso i 12 – 13 anni gli occhiali possono rappresentare per loro un grosso

problema psicologico.

D – Allora, cosa fare?

R – Se i ragazzi dimostrano senso di responsabilità possono usare le lenti a contatto

D – E’ se chiedono di eliminare il problema delle lenti con un intervento chirurgico?

R - Purtroppo non è possibile. Gli interventi di chirurgia refrattiva si possono fare solo

quando il difetto di vista si è stabilizzato cioè verso i 20 – 25 anni.

D – Bisogna aspettare la maggiore età, quindi, per poter dire addio agli occhiali?

R – Si. Tra l’altro questo intervento – che oramai è più che collaudato – necessita di

apparecchiature molto costose (laser ad eccimeri) che soltanto poche strutture possono

permettersi e non sono strutture pubbliche.

Fumo: giovani, e soprattutto donne, i soggetti più a rischio

Saturday, 18/2/2006

‘Chi fuma non e’ un gallo, e’ un pollo’: con questo slogan la Lega nazionale per la lotta contro i tumori ha dedicato alle adolescenti - che fumano più dei coetanei maschi - la ‘Giornata mondiale senza tabacco’ che si è svolta il 31 maggio. In Italia, ci sono 13 milioni di fumatori (un miliardo e 200 milioni in tutto il mondo). E – unico dato positivo – cresce il numero di quelli che decidono di smettere: il 19,3% nel ‘96, e il 21,4% nel ‘98.  Il tumore ai polmoni, però, non perdona. In Italia colpisce 118 abitanti ogni 100.000 persone con 32.000 casi nuovi ogni anno. Gli ultimi dati parlano di 90.000 morti all’anno, e il picco di incidenza e’ tra i 50 e i 70 anni.  Tra le iniziative della Lega un progetto di screening per consentire una diagnosi precoce del male e la proposta di modificare la legge sui distributori automatici di sigarette per renderli inaccessibili ai minori.13/06/2000

13/06/2000

10 febbraio, Giornata nazionale del bimbo allergico

Saturday, 18/2/2006

banner_bambinogesu.gif In Italia, il 26% della popolazione è affetta da allergie che detengono il terzo posto della triste graduatoria delle malattie croniche. E le vittime sono sopratuttto i più piccoli: un bambino su 10 soffre di sintomi asmatici e 1 bambino su 3 soffre di allergie.

Il 20% dei ragazzi con meno di 15 anni ha sofferto o soffre di raffreddore allergico; il 2-6% della popolazione soffre di allergie alimentari; il 7,5%-15% dei bambini tra i 12 e i 24 mesi presenta intolleranze alimentari con un incremento allarmante. E la preoccupazione più grande riguarda l’incremento di queste malattie: negli ultimi 10 anni l’incidenza della sola asma bronchiale è raddoppiata.
E’ emergenza.

Per i bambini che soffrono di allergie, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesu’ di Roma, in collaborazione con la SIAIP (Societa’ Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica), la Federasma e l’Associazione Laziale Asma e Malattie Allergiche hanno organizzato la Prima giornata nazionale del bimbo allergico.

Sulla base di una alleanza fra medici, famiglie e istituzioni sono stati illustrati i primi interventi necessarire per una proposta di legge che veda l’assistenza sanitaria scolastica al centro di un percorso di tutela e integrazione dei pazienti in età scolare affetti da asma ed allergia e più in generale a tutela di tutti i bimbi con patologie croniche o rare che necessitano di assistenza sanitaria durante l’orario scolastico. E’ stata inoltre avanzata la proposta dell’inserimento assieme al gruppo sanguigno dell’indicazione delle accertate allergie in tutti i documenti di identità e sanitari.

In famiglia: Il 50 per cento dei bambini asmatici ha, per lo più, genitori che fumano. fumo_lasciailfumo.jpgInfatti, come ha evidenziato Renato Cutrera, specialista dell’Unità Operativa di Broncopneumatologia dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, nonostante i successi della legge antifumo che ha ridotto il numero dei fumatori e soprattutto ha vietato il fumo nei locali pubblici, gli adulti continuano a fumare in casa, davanti ai più piccoli esponendoli al rischio di allergie respiratorie e broncopneumatie. E’ fondamentale allora che la prevenzione inizi in famiglia, e che il medico di base e la scuola, insegnino ai genitori i comportamenti corretti nei confronti della salute dei minori.

Presto, anche in Italia, basterà una sola goccia di sangue per scoprire le allergie più comuni  a un cibo o a un polline. Il test, che sarà sperimentato nel nostro paese solo dall’ospedale Bambino Gesù, consentirà di avere dei risultati in soli 20 minuti e sarà disponibile ad aprile.

Roma - 11 febbraio 2006

MUCCA PAZZA: Attenzione alle carni con la D

Wednesday, 8/2/2006

Perchè non si faccia “di tutti i bovini un fascio”, 
è bene imparare a riconoscere le carni leggendo le tabelle che le classificano. Non tutti i bovini, infatti, sono a rischio. Ma per sapere di che bovno si tratta è necessario che sia esposta la tabelle che classifica la carcassa dell’animale.  Le carcasse bovine che nel codice di classificazione riportano come prima lettera la D o la E sono quelle piu’ a rischio per il consumatore perche’ significa che si tratta di vacche. E’ quanto sostiene l’Unione nazionale consumatori. ‘’Dovrebbe essere obbligatorio esporre in macelleria il codice europeo di classificazione delle carcasse - sottolinea l’Associazione dei consumatori - che in Italia e’ 
disciplinato fin dal settembre 1998 ma che praticamente viene tenuto nascosto al consumatore, oppure tolto con la preparazione dei vari tagli'’.   L’Unione consumatori ricorda  che gli animali a rischio sono soprattutto le femmine adulte o vecchie che continuano ad essere 
macellate per il consumo e non e’ affatto vero che siano impiegate soltanto per carni in scatola, hamburger, dadi, polpette ed altre preparazioni secondarie. Se la prima lettera e’ D, afferma l’Unione consumatori, significa che si tratta di una vacca che ha figliato mentre la E potrebbe indicare sia una femmina giovane sia una adulta che non ha figliato. Per limitare notevolmente i rischi - conclude la nota - dovrebbe essere vietata l’immissione al consumo di vacche adulte, o almeno 
mettere in grado il consumatore di capire quale carne sta comprando.

IL GELATO

Wednesday, 21/10/1998
                                           Dottoressa Isabella Innocente
specializzata in dietologia e dietetica applicata
Gelati e i dolci in genere sono diffusi in tutto il mondo con percentuali di consumi
più o meno elevate a seconda degli usi e costumi.
L’origine del gelato è incerta. Probabilmente gli Arabi furono i primi ad avere l’idea di far gelare i succhi di frutta circondando di ghiaccio i contenitori , e la parola “sorbetto” derivata dall’arabo (sharba = bibita fresca) avvalora l’ipotesi.
Tuttavia sembra che i gelati veri e propri siano stati fatti per la prima volta a Firenze nel sec. XVI (fu indicato come inventore Bernardo Buontalenti), e i gelatieri fiorentini, al servizio di Caterina de’ Medici, fecero conoscere il prodotto anche in Francia. Qui, i gelati ebbero più  larga diffusione nella seconda metà del Seicento, quando il fiorentino Procopio Coltelli aprì a Parigi un locale divenuto poi famosissimo. Oggi il gelato è conosciuto in tutto il mondo, e la sua produzione, soprattutto di carattere industriale, si orienta verso i tipi a lunga conservazione.
I gelati alle creme e alla frutta sono la leccornia del periodo caldo e molto spesso ne facciamo “forzatamente” a meno per paura di perdere la linea, in visione del mare. Questi prodotti sono alimenti a base di latte, zucchero, sciroppo di glucosio, burro, panna, grassi vegetali, uova, cacao, caffè, frutta o succhi di frutta.
La struttura del gelato è ottenuta per congelamento e areazione di una miscela dei suoi ingredienti, selezionati a seconda del tipo di gelato, preventivamente pastorizzata e omogeneizzata.
Da un punto di vista nutrizionale, quasi tutti i tipi di produzione, sono validi. Il più conosciuto, quello a base di latte, ha la seguente composizione media: il 4% di proteine, il 13% di lipidi ed il 21% di carboidrati. Cento grammi di prodotto forniscono circa 200 kcal.
I gelati li dobbiamo considerare alimenti aventi un alto grado di digeribilità ed il loro consumo va considerato nel quadro di un’alimentazione equilibrata.
Il bambino, l’adolescente, l’adulto e l’anziano per mantenere uno stato di salute ottimale devono seguire un’alimentazione corretta e ciò non vuol dire assolutamente eliminare i dolci. Anzi, a volte è importante a livello psicologico concedersi qualche stravizio ed in questa stagione, perché non concedersi un gelato?
Una delle regole fondamentali per rispettare una nutrizione adeguata è quella di non privarsi sempre di ciò che ci piace; questo perché dopo poco tempo potrebbe subentrare un comportamento opposto che farebbe cadere ogni tipo di regola alimentare.
Allora sfatiamo i falsi miti e cominciamo a concedere al corpo ed alla mente qualche strappo alla regola, sempre senza esagerare. Il gelato potrebbe essere consumato in questa stagione in uno spuntino pomeridiano o magari insieme agli amici dopo cena, l’importante, se si vuole seguire delle giuste regole alimentari, sarebbe quello di evitare contemporaneamente cibi molto zuccherati e ricchi in grassi.
Il consiglio che mi sento di dare è quello di seguire sempre uno schema nutrizionale adeguato al nostro organismo e ciò vale per ogni tipo di persona (in pazienti in buono stato di salute o con patologie), ad ogni età (dalla prima infanzia all’anziano), abbinando sempre ad una sana alimentazione l’attività fisica che non deve essere necessariamente estremizzata, in quanto l’importante è fare del movimento  che ci faccia sempre sentire attivi. Anche una passeggiata giornaliera di circa un’ora rende più agile il nostro fisico senza la necessità di fare grandi rinunce alimentari.
E’ essenziale vincere la pigrizia che spesso fa parte della nostra vita quotidiana per sentirci bene fisicamente e psicologicamente, concedendoci un sorriso ricco di allegria  macchiato di gelato!!! 
Dr.ssa Isabella Innocente specializzata in dietologia e dietetica applicata
 

Le paure dei bambini

Wednesday, 21/10/1998


di Claudia Giannini
La paura della notte. La paura della Tv. La paura della scuola. La paura di essere abbandonati perché la famiglia si sfalda.

La paura di non essere all’altezza delle aspettative dei genitori. La paura di non essere belli.

Sono queste le vecchie e le nuove paure dei bambini emerse da un’indagine condotta fra 1.500 alunni delle scuole pubbliche e private di Roma, dal centro all’estrema periferia. L’inchiesta è stata coordinata dal dottor Federico Bianchi di Castelbianco e dalla dottoressa Paolo Binetti, neuropsichiatra dell’età evolutiva dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.

L’indagine – nata proprio dal bisogno di capire da dove nascono alcune forme di disagio nei bambini che possono sfociare, per esempio, nell’abbandono scolastico - rivela che molte paure sono uguali a quelle vissute dalle vecchie generazioni (anche se scaturiscono da situazioni diverse), ma molte sono esclusive dei bambini di oggi “dovute al nuovo modello di società che si è andata rapidamente evolvendo e che vuole che il bambino diventi presti un adulto, ma poi non gli da gli strumenti necessari per gestire la propria autonomia.”

Già da piccoli, i nostri figli temono di non essere belli o di essere inadeguati e incapaci, di essere abbandonati e di restare soli.

Ed è proprio la solitudine – e soprattutto la solitudine dai genitori - il nodo centrale intorno al quale si sviluppano le paure.

Nel bambino – spiega la dottoressa Binetti – l’esperienza della paura si lega all’esperienza della relazione di aiuto che gli adulti gli permettono di sperimentare. Il bambino sperimenta insieme la paura e la possibilità di controllarla e da questa esperienza impara ad elaborare strategie di fuga o di controllo a cui lega la possibilità di recuperare il dominio della situazione. La paura non è mai soltanto paura di qualcosa, è anche paura di essere solo davanti a qualcosa di terribile.

“Imparare a non aver paura è diventato condizione e metafora della possibilità di essere considerato maturo ed autonomo – dice il dottor Bianchi – e, in genere, non essere più bambino significa soprattutto aver coraggio e poter controllare la propria paura. Così il bambino impara più a nascondere la propria paura che ad affrontarla e risolverla. E’ la paura di essere giudicato, di essere preso in giro che crea una sorta di capsula in cui restano latenti molte altre paure che spuntano fuori nei momenti più impensati”.

“HO PAURA” , scritto dalla dott.ssa Binetti insieme alla dottoressa Flavia Ferrazzoli - esperta in problemi del linguaggio dei bambini - e alla dottoressa Caterina Flora - psicologa e psicoterapeuta - fornisce il resoconto dell’indagine sulle paure dei bambini e una riflessione sulle strategie educative e terapeutiche che si possono mettere in atto per fronteggiarle e lenirle.

La paura della notte

E’ quella che angoscia di più i bambini, senza distinzione di età. La notte – intesa come lungo momento di separazione – può attivare sentimenti di abbandono. Tutti, da piccoli, abbiamo avuto paura del buio. Ma il buio che faceva paura a noi o ai nostri genitori – dice il dottor Bianchi – era un buio diverso, perché difficilmente si dormiva da soli: le famiglie erano più numerose, in casa c’era sempre un nonno o uno zio e il bambino veniva lasciato raramente con una persona estranea, una baby sitter.

Un tempo c’era più disponibilità a tener compagnia al bambino che andava a letto, c’erano più fratelli e venivano raccontate più favole. Adesso il bambino è spesso affidato alla televisione dalla quale è attratto ma che allo stesso tempo teme.

Lasciare le luci accese o controllare bene che non ci siano mostri sotto il letto e in ogni angolo della stanza non è sufficiente se il genitore non condivide emotivamente le preoccupazioni del bambino.

La paura della TV

Il bambino è attratto dalla Tv ma la teme. E’ come l’adulto che fa la fila al botteghino per vedere il film horror e poi trema di paura in sala.

In TV – spiega il dottor Bianchi - il bambino vede materializzarsi le sue angosce (catastrofi, sofferenze, violenze) e la pericolosità sta nel fatto che spesso si confronta da solo con esse pur non avendo la maturità di porre un limite alle sue visioni. Così, se sente parlare di un terremoto può immaginarselo come una serie di crolli e può averne molta paura. Ma se vede uomini e cani che cercano superstiti o corpi martoriati può vivere un profondo senso di angoscia., e qualche volta le immagini televisive sembrano indugiare proprio sui bambini.

La paura delle immagini televisive è molto diversa dalla paura del “cattivo” delle favole raccontate perché queste - proprio perché raccontate - sono “contenute” da un adulto.

Cosa fare? Prima di tutto – dice il dottor Bianchi – è necessario che le emittenti rispettino le fasce orarie protette risparmiando ai bambini scene di violenza esasperata e linguaggi forti. Poi è necessario limitare la quantità di tempo che il bambino passa davanti alla Tv, soprattutto da solo.

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La paura della scuola

Riguarda soprattutto i maschietti di 9-10 anni. Secondo l’indagine, a scatenare la paura della scuola è soprattutto il forte spirito competitivo che anima i rapporti sia con gli amici sia con gli insegnanti.

I bambini – dice il dottori Bianchi - più che fare gruppo per fronteggiare l’autorità (come facevano i nostri genitori), cercano di primeggiare l’uno sull’altro e vogliono sbalordire l’adulto più che ottenere il suo riconoscimento ( e gli eccessi si vedono nei tentativi di screditare le conoscenze delle maestre). Questi modelli se da una parte seducono il bambino perché gli propongono un’immagine forte, dall’altra lo rendono vulnerabile perché gli chiedono un impegno che va oltre le proprie possibilità emotive e, a lungo andare, causano stress e disagio che sono le principali cause degli atteggiamenti negativi verso la scuola e possono sfociare nell’abbandono. “Non si può vivere quotidianamente in una situazione di disagio – per di più proiettata verso il futuro – senza volerne fuggire”.

Cosa può fare, quindi, la scuola?

Deve allentare lo spirito competitivo e aiutare il bambino a dare il meglio di ciò che ha piuttosto che seguire male un modello di sviluppo. Soprattutto la scuola materna – insiste il dottori Bianchi - dovrebbe valorizzare di più il gioco senza voler trasformare ogni attività ludica in uno strumento conoscitivo. Gioco e lavoro devono essere tenuti distinti se si vuole aiutare il bambino a non vivere continuamente l’angoscia del giudizio.

Piccoli e grandi paure: cosa fare?

Se i più piccoli sono spaventati quando si trovano da soli in bagno, in un primo confronto con la propria intimità, i più grandi, invece, temono di non rispondere al modello sociale e a quei modelli che la pubblicità esalta: competitività, bellezza a tutti i costi, moda. Hanno paura di non poter reggere al modello che gli viene presentato da tutti, a cominciare dai genitori. E pensano di essere poco interessanti perché il tempo che mamma e papà dedicano loro è poco, e spesso è investito in attività frenetiche che diventano occasioni di giudizio più che di incontro

Hanno paura della separazione dei genitori perché hanno sempre più difficoltà a vivere lo scontro come una delle modalità dello stare insieme e nutrono poca fiducia nelle possibilità di riparare un rapporto perché troppo spesso il conflitto porta a rotture radicali.

Ma come aiutare i bambini e, soprattutto, cosa dire ai genitori?

E’ importante – dicono gli esperti – rafforzare nel bambino la fiducia in se stesso, stargli emotivamente vicino, rassicurarlo, ascoltare i suoi racconti senza sminuirli, ma anche senza esagerare. Il bambino deve imparare a parlare delle sue paure e a chiedere aiuto. Può anche sentirsi solo davanti al pericolo, ma non dovrebbe mai esserlo veramente.

HO PAURA” scritto dalla Binetti insieme alla collega Flavia Ferrazzoli - esperta in problemi del linguaggio dei bambini - e a Caterina Flora - psicologa e psicoterapeuta - fornisce il risultato della ricerca sulle paure dei bambini e una riflessione sulle strategie educative e terapeutiche che si possono mettere in atto per fronteggiarle e lenirle.
Edizioni scientifiche Ma.Gi.
£38.000

Minestre e minestroni

Wednesday, 21/10/1998

di Brigida Stagno Di fronte a spinaci, cavolfiori, bieta, peperoni un “NO” secco è quasi la regola. Molto spesso è difficile far mangiare le verdure ai bambini, che mostrano per questi alimenti un vero e proprio rifiuto. Eppure, l’importanza di ortaggi e legumi per difendere la salute e il benessere dell’organismo è stata dimostrata ampiamente da studi clinici condotti in tutto il mondo. La maggior parte delle fibre, delle vitamine e dei sali minerali, si trovano, infatti, proprio nei vegetali, che non devono mai mancare sulla tavola. 
“Grazie al loro contenuto in antiossidanti – spiega il professor Marcello Ticca, ricercatore all’Istituto nazionale della Nutrizione di Roma – le verdure ci proteggono dai radicali liberi, implicati nell’insorgenza delle malattie cardiovascolari, e dei tumori.”
Ma questo non trascurabile  particolare, si sa, ai piccoli interessa ben poco. “Mangiare regolarmente la verdura – aggiunge Ticca – aiuta a mantenere il peso forma, perché a parità di peso questi alimenti contengono meno calorie, sono più voluminosi e quindi aumentano il senso di sazietà. Ecco perché mangiare verdure è utile per combattere anche l’obesità, un problema sempre più diffuso anche tra i più piccoli: oggi il 30-35% dei bambini tra i 5 e i 14 anni è in sovrappeso, soprattutto nel Sud Italia”.
Ma quanta verdura bisogna mangiare? “ Almeno una porzione al giorno, da associare a due porzioni di frutta, un alimento che viene accettato più facilmente dal bambino per il suo sapore dolce. L’ideale, però, sarebbero 5 porzioni al giorno, tra vegetali e frutta”. 
Ma, veniamo al dunque. Considerate le note virtù di questi cibi, come riuscire a farli mangiare ai nostri figli? “Innanzi tutto con il buon esempio – suggerisce Ticca – se il bambino vede fin da piccolo mamma e papà che prendono volentieri un piatto di insalata o di spinaci, piano piano si abituerà  all’idea che mangiare verdura è normale e prima o poi finirà per accettarla. E’ poi importante proporre le verdure fin dalla più tenera età, cioè appena il bambino viene svezzato”.
Inutile, poi, pretendere che ortaggi e legumi piacciano tutti indistintamente. Se il bambino preferisce le carote e considera “cattivi” i carciofi , accontentiamolo. Con gli anni, l’apprezzamento per una gamma più vasta di vegetali, è quasi automatico. Certo, qualche trucchetto è d’obbligo: nei piccoli più ostinati le verdure non vanno presentate nude e crude, ma, per esempio, sotto forma di sformati o mischiati nella pasta asciutta.
Non solo, ma in certi casi bisogna mascherare anche il loro odore con erbe aromatiche, in modo da stimolare il palato anche del bambino più schizzinoso.

L’INFLUENZA: epidemia che non c’è?

Wednesday, 21/10/1998


Intervista alla dottoressa Donatella Bandino, Pediatra di base

Il 13 gennaio – quando Tv e giornali non fanno altro che parlare di epidemia influenzale e di ospedali ko - l’ambulatorio della pediatra di mio figlio è vuoto.

D - Dottoressa Bandino, e dove sono i malati?

R – Non ci sono. Come vede, la sala d’aspetto è vuota.

D – Saranno a letto, con l’influenza?

R – E io non sarei qui, ma in giro a fare visite. Non c’è proprio – almeno finora – questa epidemia tanto strombazzata dalle Tv e dai giornali. Pensi che l’anno scorso, in questo periodo, non facevo altro che correre da un paziente all’altro.

D – Se l’epidemia non c’è, meglio così. Però, parliamone di questa influenza! Perché mamma e papà, quando il piccino ha la febbre e sta mogio mogio, non mangia, non urla e non rovescia ninnoli e giocattoli a terra, si preoccupano.

R – E’ vero. E le dirò di più: spesso, le visite a domicilio servono più a tranquillizzare un genitore particolarmente agitato che a intervenire sul piccolo. Ma anche questo fa parte del nostro mestiere. Perché, tornando all’influenza - se non ci sono complicazioni - le regole da seguire sono sempre le stesse: abbassare la febbre (se è molto alta) con un antipiretico, non forzare il bambino a mangiare, fargli bere molta acqua , non coprirlo troppo, e soprattutto lasciare che si riposi così il suo organismo può combattere da sé il virus.

D – E, invece, quando è il caso di cominciare a preoccuparsi?

R – Quando la febbre – dopo 4 o 5 giorni - non recede nonostante gli antipiretici. Oppure se il bambino è in uno stato di torpore. Se non c’è reazione agli stimoli.

D – Parliamo dei sintomi. Come si manifesta l’influenza di quest’anno?

R – Con febbre molto alta (39-40). Con inappetenza o mal di testa. Oppure con vomito e diarrea: in questo caso la temperatura può anche non aumentare e bisogna far attenzione che il bambino beva molto lentamente.

D – E se, oltre all’influenza, il bambino ha anche mal di gola, o tosse, o mal d’orecchio?

R – In questi casi sarà il pediatra, caso per caso, a prescrivere la terapia più appropriata.

D – Una volta che il bambino ha “sfebbrato”, quando può tornare a scuola?

R – In genere, dopo un paio di giorni che la febbre è andata via e ha ripreso a mangiare e a giocare. Se ci sono complicazioni, però, è meglio aspettare qualche giorno di più prima di fargli riprendere le normali attività scolastiche. Il pericolo, in questo caso, sono le ricadute: otiti, tonsilliti che – vorrei ricordarlo – non vanno mai curate con antibiotici FAI DA TE, cioè somministrati senza la prescrizione del medico.

D – Se l’influenza si manifesta con giramento di testa o dolori addominali, ma senza temperatura alta, cosa fare?

R – In questi casi, quando cioè l’influenza non costringe a restare a letto, è consigliabile dare al bambino qualche ricostituente, per aiutare il suo organismo a combattere il virus. Va bene la Pappa reale, per esempio, o qualche prodotto naturale. Sì anche alle passeggiate al parco, nelle ore più calde. Ricostituenti naturali e aria aperta sono un toccasana anche nella fase della convalescenza.

 
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